Il film che l’Italia si è persa: The Nightingale (J. Kent, 2018)

La seconda opera di Jennifer Kent affronta tematiche importanti e si segnala per una messa in scena attenta ed efficace. The Nightingale ci mostra una protagonista di grande sensibilità interpretativa, Aisling Franciosi, affiancata dall’esordiente Baykali Ganambarr.

A dispetto dei premi ottenuti e nonostante il successo del precedente film di Kent, Babadook, dopo tre anni dalla sua presentazione a Venezia il film non è ancora stato distribuito nel nostro paese.

The Nightingale è un film sfaccettato, che tratta temi complessi in maniera complessa. Più complessa di quel che appare. Il film è scorrevole e procede in maniera semplice, diretta, pulita ed essenziale, essenzialità ottenuta mediante una grande attenzione per la messa in scena – con una fotografia di suggestione a tratti pittorica -, la colonna sonora, la recitazione e – ultima ma non ultima – la scrittura, che di per sé appare di immediato impatto. Proprio per questa ragione, il film rischia di essere approcciato con superficialità e pertanto di non essere pienamente compreso e apprezzato.

Una storia tragica, ma non solo: è la storia della rinascita di due individui: Clare, l’Usignolo (“The Nightingale“, così chiamata in onore del suo canto vellutato e melodioso) e Billy, il Merlo (“The Blackbird“, per via del suo timbro vocale aspro). Uniti inizialmente solo dalla convenienza e dal bisogno di redenzione e sopravvivenza, i due metteranno con il tempo da parte i reciproci pregiudizi.
Clare è una ventunenne irlandese, tenuta prigioniera nel contesto coloniale della Tasmania del 1825. Personaggio forte, ma pur sempre umana; Clare non è una santa, è calata all’interno della sua epoca: ha interiorizzato i pregiudizi nei confronti degli aborigeni. Billy è un cacciatore aborigeno che finisce, inizialmente per costrizione, a fare da guida a Clare. The Nightingale è anche la storia di un’amicizia, che nasce a causa del vero tratto comune fra i due protagonisti: un vissuto tragico, lo status di vittime ma al contempo di sopravvissuti, che devono ritrovare la propria vita, identità e dignità.
La violenza non è mai innocente: quanto viene mostrato sullo schermo ci fa male, e questo dovrebbe comunicare proprio che essa fa solo male.

Curiosamente e forse non a caso, suscita più polemiche un film calato in un’ottica storica precisa, in questo caso attraverso lo sguardo femminile – della protagonista e della regista – e in cui le scene di violenza hanno lo scopo di indurre a una riflessione, che non la gratuità. Come Aisling ci ha confermato nella nostra intervista, sembra che su questo ci sia ancora un doppio standard.

Le tematiche sono trattate con cura e delicatezza, nient’affatto in un’ottica truce tipicamente da exploitation (appare pertanto curioso il modo in cui talvolta questo film è stato raccontato). Dà da pensare l’indifferenza totale dei distributori nostrani nei confronti dell’opera – attualmente disponibile solo nel mercato internazionale, e comunque senza sottotitoli italiani -, tanto più che il film è stato premiato proprio a Venezia: premio speciale della giuria e premio Marcello Mastroianni per Baykali Ganambarr, oltre che in altri prestigiosi festival fra cui l’AACTA, l’Oscar australiano, in cui Aisling Franciosi ha fra l’altro ottenuto il premio come miglior attrice protagonista.

Il film non racconta solamente gli orrori del colonialismo e della violenza, ma anche di come per un altro verso i popoli e le culture possano costruire un modo per convivere pacificamente e amichevolmente: i tragici e brutali eventi che danno il via alla vicenda sono il presupposto che farà nascere l’amicizia fra due individui provenienti da contesti diversi, ma che in fondo condividono lo stesso destino, e che possono condividere reciprocamente il proprio vissuto e la propria cultura. The Nightingale non è un film sulla vendetta, è un film sulla ricostruzione, sulla rinascita, ed induce anzi una riflessione sulle alternative alla violenza, come dimostra l’epilogo della vicenda di Clare, e su come si può imparare il rispetto, un rispetto che può partire da noi stessi per arrivare all’altro da noi. In una parola, The Nightingale sembra navigare verso la concordia e non verso la discordia. A fronte di tante scene assolutamente esplicite, brutali e ben oltre lo splatter viste negli anni, stupisce chi classifica le scene di questo film fra le “più brutali mai viste”, confondendo forse la rappresentazione grafica della violenza – in verità non sempre così esplicita o insistita come in altri casi, a partire dalle scene di stupro ben poco indulgenti sull’atto in sé – con l’effetto psicologico di un certo modo di metterla in scena. Un equivoco simile si era già verificato, ad esempio, con il controverso Funny Games (1997) di Michael Haneke, criticato per un supposto eccesso di violenza esplicita che invece, incredibilmente, in quel caso non veniva effettivamente mostrata, dal momento che gli omicidi avvenivano in realtà fuori campo; il film conteneva anche una sottile provocazione in merito al voyeurismo moralista dello spettatore, esemplificato dalla scena del telecomando: la morte di un assassino sarebbe risultata soddisfacente per il pubblico, non così quella dei protagonisti e dei buoni; ma lo spettatore che desidera e si compiace della violenza nei confronti di un antagonista quanto è diverso da colui che la compie? In The Nightingale assistiamo a qualcosa di simile, in relazione alla crescita morale del personaggio di Clare, che si rispecchia nella costruzione drammaturgica del tutto: la violenza sostanzialmente psicologica che il film infligge allo spettatore serve a calarlo pienamente nelle vicende ricostruite, inducendolo a riflettere su quanto provato sulla propria pelle, in un certo senso, assistendo a scene emotivamente dure. Ma il dolore e la distruzione, al contempo, sembrano essere proprio l’oggetto della critica. Curioso d’altra parte come un film dichiaratamente vendicativo come il sontuoso Bastardi senza gloria (Inglourious Basterds, 2009) di Quentin Tarantino non abbia neanche lontanamente incontrato lo stesso ostracismo capitato a The Nightingale. Il principio secondo cui la violenza consumata nella sala cinematografica non corrisponde a quella della vita reale è stato perfettamente digerito dagli spettatori, forse anche perché in quel caso l’attenzione era posta verso tematiche con cui il pubblico occidentale ha maggiore dimestichezza e familiarità Sebbene nel film di Jennifer Kent non manchino scene forti e brutali, sembra ragionevole pensare che la struttura narrativa del film (e il suo finale) siano volti alla meditazione e alla contemplazione, più che al soddisfacimento di piaceri sadici che, nel caso del film di Tarantino, fanno parte sia del gioco della macchina-cinema, che di un discorso di rivalsa nei confronti del momento più torbido e buio della nostra storia. In The Nightingale si allude senz’altro a questo genere di discorsi, ma c’è dell’altro, il tentativo di fare un passo avanti oltre la vendetta, oltre la violenza, verso la dignità.

In conclusione, non sappiamo perché il film sia rimasto inedito in Italia, ma siamo certi che se mai arrivasse potrebbe indurci alla riflessione su una serie di temi importanti, attuali e tutt’altro che banali o scontati. Nel contempo saremmo deliziati dalla splendida fotografia, dalla bella e particolare colonna sonora (eseguita direttamente in scena dagli stessi protagonisti) e dalle eccellenti interpretazioni.

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